VERSIONE PER LA STAMPA SU CONCERTOGGI.IT
www.concertoggi.it, il sito di musica classica
News inserita il 02/10/2006 11:05:19
 
GLI INGREDIENTI DEL MONDO: ARIA ACQUA TERRA FUOCO
 
A cura di MANUELA RAVAGLIOLI

Conversazione sull'aria, il respiro e la voce.
Gli esseri viventi hanno bisogno dell'aria per respirare. La musica ha bisogno dell'aria per essere trasmessa.
Nessuna tecnologia, molti lo credono, riproduce completamente l'impatto dei suoni nell'aria, condizionata dai corpi delle persone come dal tempo che fa. Abbiamo voluto considerare la voce come un frutto generato dall'aria che passa attraverso il corpo.

Avremmo forse dovuto pensare anche ai "versi" degli animali (il termine si riferisce curiosamente alla voce degli animali, al ritmo della poesia e alle boccacce dei bambini), ma il discorso si sarebbe fatto veramente difficile.
Collegare carattere, intenzione e dato di natura! Chiunque abbia vissuto con dei gatti o dei cani, sa che non ce n'è uno che parli come un altro e che,anche presso di loro, quindi, ciascuna voce è individuale, a volerla,ascoltare.

Abbiamo conversato con Manuela Ravaglioli, cantante e autrice, che lavora con la voce e insegna ad altri a conoscere la propria.
Consideriamo la voce come aria suonata dal corpo. Rispetto agli altri strumenti ad aria "convenzionali" qual è, se c'è, la differenza sostanziale?

Sì certo, la voce è un prodotto dell'aria e il corpo è il suo strumento. La prima differenza che mi viene da dire, e fondamentale: gli strumenti, rispetto al corpo che emette la voce, sono strumenti morti. Per quanto siano belli, non hanno un cuore che batte, non sono organismi viventi, non hanno quella che potremmo dire una "interezza emotiva": la metti tu nello strumento, certamente, ma il cantante ce l'ha già. Lo strumento del corpo già palpita per conto proprio: è uno strumento vivo.

Per queste stesse ragioni il corpo è soggetto a continui cambiamenti e questa incognita è la magia che si crea nella voce; anche se hai disciplina e controllo, si tratta di un controllo del tutto tecnico, ma il livello emotivo si arricchisce di queste trasformazioni. Se io vivo oggi una esperienza bellissima porterò senz'altro alla mia voce qualcosa di nuovo.

Mi sono avvicinata alla musica da piccola, suonavo il pianoforte e mi piaceva, lo sentivo tantissimo. Poi però mi sono staccata, per varie ragioni. Più tardi mi sono avvicinata al canto e al lavoro con la voce, e ho capito che non avrei mai davvero lasciato questa strada, perché è una esperienza che ti stupisce ogni giorno, e queste novità non sono esterne, ma sono proprio intessute con la tua vita.

COME SEI RITORNATA ALLA VOCE?

Mi sono staccata della musica perché mi avevano fatto credere che non potevo farne un lavoro, e allora mi sono rivolta a qualcosa che mi piaceva comunque: grafica e fotografia.

Così ho fatto la fotografa (ho ancora una cattedra di insegnamento di fotografia). Mi piaceva, ho lavorato tanto. Ma non sentivo abbastanza: sono lavori che ti consumano, devono anche restituirti l'energia per rigenerarti, come la musica.

La fotografia mi interessava per via del ruolo essenziale che ha la luce, e per me la luce è importantissima. Anche ora lavoro con questo: mettere in luce la voce vera di una persona. Il lavoro al quale mi sto dedicando da alcuni mesi si chiama voce in luce.

Con la fotografia lavoravo sempre con un oggetto che si frapponeva fra me e la luce: mi sono resa conto che funzionava l'intento, ma non il mezzo!
Quando mi sono riavvicinata alla musica e alla voce, ho dovuto scegliere fra l'essere fotografa o cantante, e ho scelto. Forse la fotografia mi ha riavvicinato a questa idea della luce. Che è ancora una qualità dell'aria, e per cui il corpo della macchina fotografia è ancora un luogo di passaggio, come il corpo per la voce. Sì.
Naturalmente, dopo aver fatto la mia scelta, mi sono molto rammaricata di aver perso tanto tempo, di aver speso tante energie invece di concentrarmi sulla voce. Poi però ho capito che la sensibilità "visuale" mi era utile per visualizzare meglio il corpo, il movimento della voce.

MA TU SENTI L'ARIA QUANDO CANTI?

Certo. Più entri in sintonia con questo lavoro più riesci a dare aria all'anima, ma anche anima all'aria. Ciascun luogo ha un profumo diverso e un corpo diverso e tu rispondi in modo diverso.

Il corpo dell'aria interviene sia a livello fisico che emotivo: i polmoni si aprono naturalmente ad un'aria più sana, e il benessere che ricavi da un profumo di fiori o di fieno influenza moltissimo la voce. A me piace l'odore di alga, per esempio, che c'è al mare, ad alcuni dà fastidio; a me riporta invece - con la velocità dell'olfatto che è il senso più antico e più diretto, il più veloce - alla mia infanzia, a quando abitavo nelle Asturie.
E ritrovarmi a cantare in un luogo che per me ha un valore e che mi dà questo benessere mi restituisce una sensazione di enorme serenità e ricchezza.

Queste sensazioni intervengono e amplificano le percezioni del corpo, come fai a paragonarlo ad un oggetto, per quanto bello sia?
Forse il corpo funziona, e in quelle situazioni più dirette anche con maggiore chiarezza, come strumento di collegamento fra la terra e l'aria diventando il "medio" che produce, "qui e ora", voce. La percezione degli elementi, come dei colori - ce lo ha dimostrato la psicologia della Gestalt - non è mai discreta, ma è sempre percezione di una "relazione". Nelle tue lezioni mi hai detto qualche volta: "pensa alle gambe, devi essere forte sulle gambe, sono loro che ti sostengono sulla terra!" Come la vedi l'aria, e la voce, in relazione a agli organi e ai "pezzi" del corpo?

C'è sempre un doppio livello: uno fisico ed emotivo. Il corpo deve stare in piedi, il corpo è una struttura: stare stabile sulle gambe ti permette di espandere al meglio la parte superiore, di utilizzarla con flessibilità. Pensare di collegare l'aria alle gambe, poi, serve a spostare l'attenzione dalla parte altissima del corpo su cui solitamente "restringiamo" la voce: la gola, il petto... già la seconda parte dei polmoni la ignoriamo totalmente. Ma il corpo respira tutto! ogni volta che porti aria al corpo, l'aria "passa", si comunica alle molecole, mette in moto il ritmo complessivo del corpo vivente. Quindi pensare alle gambe modifica la percezione, la rende più " esatta". Questo porta a raggiungere la parte più "profonda" dei polmoni: più porti l'attenzione in basso più raggiungi la parte bassa dei polmoni, che solitamente si fatica a raggiungere, perché siamo condizionati anche da educazione sbagliata: quando hai tre/quattro anni perdi la naturalezza del respiro profondo; è il momento in cui ti insegnano, ai giardini, "Respira bene" e lì allarghi il petto, tutto in alto. Invece quando nasciamo, respiriamo completamente, totalmente: lo vedi guardando un bambino molto piccolo: si muove tutto, respira anche con le pieghe delle gambotte. Respirare è fondamentale, è dare al corpo vita.

Per me questo è importante: che la voce non sia solo laringe, faringe, corde vocali, ma che sia corpo/voce: noi siamo corpo, e la voce dipende anche dalle ossa che non sono solo qua in alto, ma anche in fondo, nei piedi. E parlo da un punto di vista fisico, non solo emotivo, spirituale o psicologico... la voce è muscolo, realmente. Ma questa consapevolezza devi integrarla.

Una cosa fantastica della voce è che parla da sola: puoi capire come è una persona, indipendentemente da quello che dice: puoi sentire se è integrata al proprio corpo o no.

Questa integrazione più o meno riuscita però può essere oggetto di alcune "poetiche" diverse: la voce rauca, certi effetti di falsetti... Diversamente non è inusuale ascoltare voci stupendamente forti o potenti, ma tutte uguali, figlie non difformi di una medesima scuola. Cosa ne pensi?
Quando dico integrata, non mi riferisco ad una voce raffinata, pulita... Tom Waits piace a tutti. La voce sgradevole è quella che non è integrata nella persona, che non suona con lei.

Si tratta di mettersi in gioco. Se tu dai accesso a tutti i livelli della tua personalità la voce fluisce, altrimenti fai il virtuoso, ma il virtuoso produce emozioni di primo grado. Il problema è anche questo. Mi ricordo una cosa che disse un'insegnante che ho avuto, in un laboratorio. Era compagna di uno dei componenti dei Gipsy King. Lei diceva una cosa che è divenuta importante per me. "Il successo non è per l'uomo": il successo è per un dio, perché non gli serve, non lo utilizza per il potere, non si beve il cervello, gli è relativamente indifferente. Il successo ti cambia gli obiettivi, ti fa muovere per cose diverse da quelle da cui sei partito.

Pensavo alla parola "ispirazione", che si collega direttamente al respiro.
Quella frase mi aveva fatto molto riflettere. Lavorando in questo ambiente è naturale che uno aneli a un certo riconoscimento, però anche allora avevo capito che quella era una cosa giusta, che avrebbe dovuto orientarmi: "io voglio essere quella che sono ora," mi sono detta, perché ho pensato a quello che avrei perso e non a quello che avrei "vinto" se un giorno avessi avuto successo.

Un effetto fantastico per una persona che lavora sulla voce è che ti senti vivo, e se tu lo fai per altri obiettivi, per altre motivazioni, non ti senti così.

Mi ricordo benissimo di una volta in cui ho fatto tre concerti in un giorno solo, al mattino, al pomeriggio e poi alla sera: una full immersion che non mi succede spesso di fare. Alla sera mi sono guardata allo specchio e avevo una faccia da bambina! Ero ringiovanita, non avevo più rughe, segni... me lo ricorderò sempre. Capisci quale alchimia aveva provocato quella giornata?

Certo il riconoscimento per quello che fai è importante, non lo butterei via. Però ho fortuna per questa voglia di ricerca, per questa importanza, questo rispetto che ho voluto dare da un certo punto alla voce.

Ho iniziato a cantare come tutti, istintivamente: ero musicista, avevo musicalità, ero abbastanza intonata (non si è mai intonati abbastanza).
Cantavo senza sapere come si canta e ho rovinato la voce. Dovevo operarmi, mi hanno vietato di cantare per sei mesi. Da questo silenzio obbligato ho capito che non avrei mai più voluto rischiare quella situazione.
Mi sono detta: no, io ricomincio da capo. Per me stare in silenzio era una cosa tremenda, tremenda: io ho sempre cantato. Ho capito davvero quanto per me la voce fosse fondamentale; quando sono riuscita a rimettermi, senza neppure operarmi, l'ho rispettata con totale sacralità. E ho capito quanto in un pizzichino ci siano dentro un milione di cose, e da quello ancora: come una matrioska.

Lì scatta la ricerca e io sono abbastanza instancabile: sono un po' ossessiva e questo, in positivo ha i suoi vantaggi, e in negativo ha degli svantaggi...

MA QUANDO DICI "FACCIO RICERCA" COSA VUOL DIRE CONCRETAMENTE? CHE OBIETTIVI TI DAI?

Non sono cose scritte. Ogni mattina ti alzi con una voce diversa e già questo ti offre delle premesse sempre diverse. Ad esempio, una volta ho fatto un esercizio, in macchina (guidavo: la macchina è per me come il guscio della chiocciola, mi protegge e mi concentra; mi ci sento quasi più libera che a casa, dove ci sono muri e vicini). Mi sono detta: voglio provare a cantare con i vari organi, stomaco, milza... mi concentravo via via ed emettevo dei suoni, cercando di cogliere il senso e il carattere di ciascuno; a un certo punto era la volta del fegato e senza che facessi niente di particolare, è venuta fuori una rabbia, un incazzamento... fu una sorpresa incredibile. Se vuoi era un gioco, eppure mi si rivelavano alcune cose.

Non viene sempre, perché devi accedere agli stati profondi, e questo non è sempre possibile, anche quando li piloti.

Devi sempre chiedere permesso per entrare in questi stati: "posso entrare?"
Non è una cosa che si possa fare tutti i giorni. Anche questo mi piace della voce: è un rischio, ma è un rischio buono. Molte volte lo dico a quelli che lavorano con me: bisogna avere il coraggio di investire. Con la voce investi sempre bene, perché quel che ne ottieni è sempre una maggior sensibilità.
Certo poi diventi anche più sensibile alle sofferenze, però diventi anche in grado di mettere in piedi degli scudi che ti permettono di affrontarle meglio, perché le sai esprimere.

DIVENTI PIÙ FORTE?

Questo è molto personale. Però nel tempo ho tolto la forza, l'aggressività.

Quella forza l'ho trasformata. Il momento di transizione deve forse ancora concludersi, deve prendere una buona "collocazione", ed è una transizione sofferta. In tutti questi momenti mi raccolgo, come gli animali, e respiro.

Mi ricordo di una mia allieva; aveva avuto una esperienza molto brutta, un lutto drammatico; aveva un intervallo fra inspirazione ed espirazione lunghissimo che mi preoccupava, e molto. Molto tempo dopo mi ha raccontato che quando era morto suo padre, andava a rifugiarsi in uno spazio fra il muro e il calorifero. Lì si sentiva più tranquilla, più sicura, come dentro ad un'armatura.

In una situazione di dolore, fisico o emozionale, la respirazione si blocca: portiamo in alto tutto e tutto si ferma. Nel momento in cui trattieni il respiro non senti.

La tecnica del rebirthing ha l'obiettivo di farti "sentire" e uscire le emozioni. È molto efficace. Ti fanno respirare continuamente, senza pausa fra respirazione e inspirazione: il cervello, iperossigenato, perde il controllo della situazione. Non respirando controlli totalmente il cervello.

Il rebirthing è una cosa che sconsiglio vivamente a tutti -scrivilo.
Bisognerebbe farlo solo con persone che conosci veramente, di cui hai una fiducia certificata. Sono molto incazzata con quei furfanti che utilizzano questa tecnica "semplice" (perché tecnicamente è semplice) per sfruttare un po' di moda "new age" e fare soldi con i bisogni delle persone mettendone seriamente a repentaglio l'equilibrio. Molti di questi operatori innescano dei processi profondi (ho visto persone urlare come matte, vomitare la bile verde!) e poi spariscono, perché non sanno come gestire questi processi, né come "chiuderli"! Per chi le frequenta queste situazioni diventano una specie di droga, perché l'effetto è molto forte e i vantaggi immediati, anche emotivi, ci sono, ma possono essere devastanti per l'equilibrio. Si diventa dei "tossici d'aria" e poi si finisce per condividere con gli altri questa esperienza con quei meccanismi tipici dei drogati, complicità etc...Se non avessi avuto una educazione molto autoritaria, e la capacità di darmi una disciplina vera, non so dove sarei oggi.

IL FATTO DI INSEGNARE: CHE IMPORTANZA HA PER TE E CHE IDEA TI SEI FATTA DI COME LE PERSONE RESPIRANO?

Mi colpisce sempre il fatto che c'è questa diffusissima tendenza a stare in alto, a tenere la voce qui su, e la fatica a sentire più in basso...Poi ci sono persone che istintivamente vanno. Li vedi nei visi: una persona che lavora, sentendo le emozioni ha più spesso un'espressione giovane, non intendo la bellezza adolescenziale, ma quell'aria viva, giovane.

Più respiro in alto più non sento. Mi è successo di vedere questo con le persone più "scafate", più preparate intellettualmente: ho lavorato con degli psicologi, per i quali la voce è un elemento importante della comunicazione. Sono i più tremendi, i più fuggevoli: più si sentono consapevoli e più si sentono sbalestrati da questo tipo di lavoro. Mi ricordo di uno che ha rinunciato totalmente, esprimendo la sua difficoltà con uno scatto molto aggressivo verso di me. Poi però mi ha mandato altre persone: anche se lui non si sentiva di proseguire quel lavoro forse ne intuiva il senso. È difficile.
Mi vengono in mente i venditori, i rappresentanti; sono persone che lavorano sulla voce istintivamente, impostando la voce in certi modi che dal loro punto di vista funzionano. Ti riferisci a quelle maschere di efficienza e cordialità tipiche della voce "sorridente" di certi speaker pubblicitari?
Sì. Mi viene in mente una persona che ho conosciuto e che stimo per molti aspetti. Abbiamo avuto recentemente una conversazione un po' più personale, e gli ho parlato di una persona fondamentale per la mia infanzia (e la mia vita) che ho perduto da poco; quando parlo di lei, scendo quasi naturalmente con la voce, perché nel parlarne vado a prendere dei ricordi e delle emozioni molto vive.

Lui mi dice: "certo che hai una serenità, sento dalla tua voce, una voce serena, molto professionale..."

Io l'ho ripreso, un po' sorpresa: "professionale"?! Proprio non c'entrava niente! Ma è che lui lavora nella comunicazione, organizza eventi, convegni, seminari sul linguaggio, quindi ha colto prima un'impressione emotiva, e successivamente un tono "professionale"! Lui ha un tono di voce elegante, gradevole, non è affatto superficiale come persona, intendiamoci. Ma questo accenno mi ha fatto riflettere. Chi lavora sulla persuasione s'inventa un modo, più o meno consapevole, per entrare in relazione con le persone. Però credo che non si possa barare, possono sedurti, convincerti a fare qualcosa, ma non ti daranno mai la pelle d'oca di una emozione più profonda. Mi ricordo una merciaia dalla quale andavo per comprare una cosa (un ottimo reggiseno!) e ne uscivo con tre. Uscita di lì mi chiedevo sempre: perché? Cos'ha questa donna che mi convince sempre?

Ad un certo punto ho capito che era la sua voce forte, forte ed impositiva alla quale non sapevo resistere e non ci sono più andata, anche se aveva quei reggiseni perfetti per me! Una sirena...Sì, una sirena negativa, una che ti fa fare delle cose che non vuoi; però una sirena ti muove anche delle cose. Ecco un mio fine: quando ho ricominciato a cantare le persone mi dicevano: grazie, mi sono emozionato, mi hai commosso... per me questa era una cosa nuova, mi faceva piacere, ma era un effetto inconsapevole, perché avevo cominciato un lavoro, ma non sapevo cosa avrei prodotto con il mio lavoro. Avevo questo ritorno ed era molto bello: a me piace regalare; sto imparando che è bello anche ricevere, anche perché se ricevi dai e viceversa. Questo ritorno è stato uno spunto per capire come muovermi con il mio lavoro. A me dà molte emozioni, ma le dà anche agli altri. Ho fatto varie esperienza di musicoterapia e so che con la musica puoi dare delle emozioni che una persona porta a casa e cui può ricorrere nei momenti difficili.

FORSE CHI TI ASCOLTA CANTARE RIPERCORRE CON TE QUELLO CHE STAI FACENDO; L'EMOZIONE PUÒ ESSERE CONSIDERATA COME QUESTO PROCESSO DI "RICALCO": RICONOSCERE E SENTIRE SU DI SÉ QUELLO CHE ACCADE E PRODUCI TU. C'È QUESTO EFFETTO DI SPECCHIO?

Più che un discorso di specchio credo che si tratti di riempire un vuoto. Come ti ho detto c'è un passaggio verso i tre/quattro anni che ti porta a respirare diversamente e crei un vuoto, che coinvolge la pancia e le emozioni.

Quel vuoto però è disponibile ad essere riaperto, più o meno, anche quando sia solo un piccolo spiraglio. Se tu sei gentile col tuo lavoro, riesci ad entrare e vai a nutrire quel vuoto. Secondo me le persone ringraziano perché si sentono "nutrite".

Mi ricordo un concerto di Caetano Veloso, che mi piace e ho seguito molte volte, perché ammiro il suo modo di cambiare, di cercare sempre. All'ultimo concerto che ho visto, due anni fa, mah! c'era qualcosa che non mi convinceva, bella scenografia, bello spettacolo, bella musica, ma tutto mi rimaneva un po' indifferente... Poi ha cominciato a muoversi, e mi è arrivata una fortissima sensazione di libertà, da quest'uomo che sapeva tante cose e faceva sul palco quello che voleva: la libertà di esprimersi liberamente: forse era qualcosa che serviva a me. Ho sentito un fortissimo desiderio di ringraziarlo e alla fine dello spettacolo ho sentito la necessità di farlo veramente, di andare nei camerini, e a me non piace andare nei camerini, non lo faccio mai, la trovo una cosa un po'...

Ma io dovevo ringraziarlo. E così, anche con l'aiuto e la complicità di un mio caro amico, che era il fonico della serata, ho cercato di superare le mie resistenze e sono andata. Ero in coda, con gli altri che si facevano fare l'autografo, e mi sentivo anche un po' stupida. Poi sono entrata e gli ho detto semplicemente quello che sentivo, qualcosa come: " volevo solo dirti che mi hai comunicato questa libertà d'animo che hai!" Ero un po' commossa, e però si è commosso anche lui e mi ha abbracciato. Così: una persona che avrà sentito miliardi e miliardi di complimenti eppure si muove da una mia commozione. Mi è sembrato bello. Lì avevo una voce molto bassa. Il bello della voce è che la fai andare e lei va dove deve.

Ho letto una volta in ...E venne chiamata due cuori di Marlo Morgan una cosa che mi aveva molto colpito. Si raccontava di come una guaritrice aborigena, di fronte ad una persona colpita da una ferita molto profonda che non smetteva di sanguinare, avesse cantato a questa ferita, provocando con il suo canto il blocco dell'emorragia.

L'autrice scriveva "potevo immaginare che la musica potesse guarire delle ferite interne, ma delle ferite esterne..." Questo mi dava la misura di un potere della voce che in qualche modo abbiamo perduto; come con l'invenzione del telefono abbiamo forse rinunciato a delle capacità di telepatia che altri popoli hanno ancora .Mi sono avvicinata alla voce in un momento in cui facevo fatica a "parlare" di cose che mi succedevano, mentre invece mi faceva molto bene "cantarle". Questo che per me è stato un processo istintivo, naturale - perché ero sempre stata vicino alla musica - ma poi sono stata più consapevole di questo e riconoscente. Credo che sia per questo che mi piace lavorare anche per gli altri, perché sento quanto è d'aiuto. Dà uno stato di benessere fortissimo; infatti più che come spettacolo, vivo la voce come un fatto terapeutico e solo secondariamente come spettacolo. La voce lenisce le ferite, di chi la usa e di chi la ascolta.

È proprio il fatto di fuoriuscire: noi siamo energia e possiamo produrre energia. Ho lavorato con persone che erano a stati terminali forti: tumori e via così. Lo vedevi negli occhi cosa produceva lavorare con degli stati energetici profondi. Persone che avevano pochi mesi di vita e stavano bene.
Perché "tiravano fuori". Far uscire: la voce è un canale di fuoriuscita. Bisogna assolutamente far uscire i dolori. Ci sono tanti modi per trasformare: chi dipinge, chi ricama... Devi dare suono alla cassa che è il corpo. Noi produciamo sempre un suono, dormiamo e produciamo suono, camminiamo e produciamo suono. Davanti a un dolore non possiamo chiuderlo, tenerlo dentro. La voce ha una grandissima capacità di trasformazione.

IN QUESTO SENSO IL LAMENTO, ANCHE NELLE SUE MANIFESTAZIONI RITUALI PUÒ ESSERE VISTO COME ESPRESSIONE VOCALE E INSIEME FARMACO DEL DOLORE?

In questi rituali personalmente vedo una formalizzazione del dolore, una sua manifestazione che la comunità "si aspetta". A un livello più personale il lamento mi sembra un'anticamera verso l'urlo, l'espressione più ancestrale della voce. Un esercizio pilotato che ho fatto con le persone con cui lavoro - ma con molta cautela, e una volta sola - è vomitare la voce. Questa voce-orco è quella che bisogna avvicinare in certe occasioni della vita. Ricordo una sera: andando ad una lezione mi sono incanalata in un cortile sbagliato. Scendo lungo una discesa aspettandomi di trovare un altro cortile, e invece c'è una carrozzeria chiusa, e solo il cane da guardia, che mi vede, abbaia e fa per assalirmi; ero veramente in difficoltà, non avevo uscite: ho tirato fuori un urlo che l'ha immobilizzato e così ho potuto tornare indietro, scappare. Non avevo mai pensato di usare la voce come "difesa": istintivamente ho appoggiato la voce, cioè ho usato un accorgimento tecnico e ha funzionato. È stato un urlo vero: animale tu, animale io. Ritornando all'urlo e al lamento, io non penso che una ferita, una spaccatura, quale una morte ad esempio possano veramente esprimersi in un lamento. Vedo il lamento piuttosto, come ti ho detto, come un'anticamera per raggiungere o viceversa per ritornare dall'urlo verso uno stato "normale". Se non urli è perché non puoi farlo, per condizionamento, oppure non vuoi farlo, non ti dai il coraggio di esprimerti così radicalmente e totalmente.

PARLI DI "CONDIZIONAMENTO". LA NOSTRA CULTURA AVREBBE ESCLUSO L'URLO COME MEZZO DI COMUNICAZIONE?
Lo usiamo solo in modo aggressivo: alzo la voce e tu stai "schiscio". È un po' diverso dall'urlo verso il cane, perché è comunque filtrato da una logica di potere. Il cane l'ho aggredito con la mia voce e solo successivamente al fatto che lui aveva aggredito me. Eravamo pari. C'è forse anche un pudore verso l'urlo. È come se la civiltà portasse con sé l'idea che non si deve esprimere la potenza grezza, neanche quella della voce, forse perché viene tradotta come aggressione e non come espressione, come retaggio animale e non razionale.

Sì, "non sta bene". Non è conforme. Io ho avuto parecchi condizionamenti. Mio padre era molto polare: amava il selvaggio, la natura e però era rigido, educato, pieno di regole. Per lui io avevo un tono di voce sgradevole e parlavo troppo: "Con quella voce che c'hai, stai zitta..." è una frase che ha risuonato sempre dentro di me. Questo atteggiamento veniva compensato dalla mia Tata Lucia, che era una persona forte, di campagna e parlava ad alta voce: noi tutti la ammiravamo, e io la imitavo.
Mio padre aveva una bellissima voce, ma era molto lontano dalla musica e l'ho convinto in tarda età ad entrare in un coro: una grande conquista portarlo in conservatorio, portarlo a cantare. Il suo atteggiamento ha pesato ovviamente su di me, bambina, dando luogo a quegli isterismi che compensano questi condizionamenti: e allora parlavo un'ottava sopra, cantavo, stavo zitta, cantavo, mi ribellavo. Il destino ha voluto non solo che facessi la cantante, cioè qualcuno che ha una voce gradevole non solo per sé ma per gli altri ("porterò la mia voce a tal punto che non potrai fare altro che ascoltarmi!", e ce l'ho fatta a farmi apprezzare persino da mio padre, anche se ho dovuto fare una serata in teatro - non nei locali - perché venisse ad ascoltarmi). Anche nel mio lavoro con gli altri io ripercorro questo stesso tragitto di accettazione e valorizzazione della voce. Ci sono cantanti che insistono sul "pezzo"; certo anche a me piace lavorare sui brani, ma poi mi piace accompagnare la persona in modo che gli piaccia la sua voce. La voglia di crescere fa venire su la voce.