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SEZIONE OPERA - Autore: Händel Georg Friedrich su libretto di Vincenzo Grimani
 
Agrippina
 
Personaggi

Agrippina (S)
Nerone, suo figlio (S)
Poppea (S)
Claudio, imperatore (B)
Ottone (A)
Pallante (B)

Narciso (A)
Lesbo, servo di Claudio (B)
Giunone (A)

Ci sono buone ragioni per considerare Agrippina un’opera irripetibile, unica nel suo genere: ragioni storiche, biografiche, drammaturgiche, squisitamente musicali.
Anzitutto Agrippina è la prima opera di Händel pervenuta integra: dei quattro titoli per Amburgo conosciamo, in forma lacunosa, soltanto l’ Almira (1705); anche Vincer se stesso è la maggior vittoria ( Rodrigo ), l’opera del 1707 per Firenze, è giunta mutila di alcune arie. Conclusione e culmine del lungo soggiorno in Italia, il successo di Agrippina segna un primo punto fermo nell’ascesa del giovane Händel: l’opera inaugurò la stagione di carnevale (sei settimane di repliche) nel più prestigioso teatro veneziano, accolta da un entusiasmo delirante, con le grida – divenute poi proverbiali – di ‘Viva il caro Sassone!’. Per questo suo debutto in laguna Händel si misurò con una tradizione – letteraria, ideologica, prima ancora che operistica – schiettamente locale; una tradizione che risaliva almeno agli anni Quaranta del Seicento, all’attività degli Accademici Incogniti (si pensi solo al libretto dell’ Incoronazione di Poppea ), e che aveva dominato a più riprese la scena veneziana (un altro esempio, affine per situazioni e ambiente: la Messalina di Piccioli-Pallavicino, carnevale 1680): l’occhio scettico, disincantato con cui la Serenissima guarda alla Città eterna. La storia romana non è – come in Zeno, come poi in Metastasio – un campo di virtù morali e sentimentali; è il campo aperto all’ambizione, alle astuzie, agli intrighi di chi persegue unicamente, cinicamente i propri scopi immediati.

Agrippina, la moglie dell’imperatore, vuol garantire a tutti i costi il trono a Nerone, il figlio nato dal suo primo matrimonio; quando apprende che Claudio, di ritorno dalla Britannia, è perito in un naufragio, convince i liberti Pallante e Narciso – di lei invaghiti – ad assecondare i suoi piani. Giunge improvvisamente Lesbo, con la notizia che Claudio è stato salvato in extremis da Ottone: sarà questi il nuovo Cesare.
Qui si scatena la ridda degli inganni e delle macchinazioni: conoscendo la loro comune passione per Poppea, Agrippina attizza una rivalità fra Claudio e Ottone, e istiga i due liberti – che, in comica sincronia, agiscono sempre ‘a ruota’ – a uccidere quest’ultimo come traditore; per parte sua Poppea, in una scena degna di Feydeau, riceve i suoi tre spasimanti (il terzo, naturalmente, è Nerone) l’uno all’insaputa dell’altro, obbligandoli a nascondersi e smascherando così, agli occhi di Claudio, le mire della moglie e del figliastro. Vacuo più che magnanimo, Claudio (come il Tito mozartiano) rinuncia alla vendetta ma, cercando di venire incontro a ognuno, finisce per scontentare tutti: cede Poppea a Nerone, e conferma sul trono Ottone.
Nerone però protesta: perdere un impero e sposarsi, in un colpo solo, è davvero troppo. Sarà lui quindi il successore, mentre Ottone può finalmente unirsi all’amata Poppea; Agrippina vede coronati i suoi sforzi, e Giunone scende dal cielo a celebrare le nozze.

Un classico lieto fine dunque, per un libretto agile, brillante, tutto ispirato a una sorta di ‘moralità capovolta’, o lucida amoralità (non si contano, in divertiti a parte , le lodi dell’impostura e della finzione); malgrado momenti di accentuazione ‘tragica’ (il disegno omicida di Agrippina, lo sconforto di Ottone), i personaggi si muovono, si lasciano vivere – Claudio e Poppea in primis – con naturalezza: domina un tono lieve di commedia, così lontano dalla gravità a senso unico dei drammi zeniani, che proprio intorno al 1710 cominciavano a monopolizzare il repertorio. Un anacronismo solo apparente: il cardinale Vincenzo Grimani, dal luglio 1708 viceré di Napoli, era fra i principali diplomatici al servizio degli Asburgo; a lungo ambasciatore in Vaticano, con questo libretto egli prenderebbe di mira la curia romana e (sotto le sembianze di Claudio) il pontefice in persona, il filospagnolo Clemente XI. Il taglio drammatico di Agrippina – con la pluralità di generi, azioni, personaggi, con il libero avvicendarsi di scena e aria – potrà sembrare datato, démodé , persino stravagante; ma il contenuto satirico, le allusioni polemiche restituiscono all’opera (almeno a Venezia) una pungente attualità e necessità.

In questo intreccio di stimoli, come si comporta Händel? Con la stessa disinvoltura, si direbbe, con cui Grimani ricorre a fatti e personaggi storici; la vivacità, la scioltezza narrativa del testo si riflette nella struttura generale dell’opera, molto più fluida, mobile, imprevedibile dei successivi esempi londinesi.
L’aria col da capo non è ancora la regola, e frequenti sono le arie accompagnate solo dal basso continuo (gli archi intervengono in chiusa di ritornello); troviamo inoltre – senza gerarchie o dinamiche preordinate – ariosi, ariette (splendida quella di Claudio, I, 21: “Vieni, o cara”), un terzetto e un breve, folgorante quartetto. Gran parte dei brani risale a musiche preesistenti (41 numeri su 48, pur con vari gradi di adattamento): ai lavori händeliani per Firenze ( Rodrigo ), Roma (gli oratorî Il trionfo del tempo e del disinganno e La resurrezione ), Napoli (la serenata Aci, Galatea e Polifemo ) o addirittura, per qualche spunto tematico, alle opere amburghesi di Keiser e Mattheson; ed è sorprendente notare che arie perfettamente aderenti al personaggio (ad esempio Poppea, I, 17: “È un foco quel d’amore”; Ottone, II, 5: “Voi che udite il mio lamento”) provengono in realtà da cantate romane o napoletane, e dunque da tutt’altro contesto. Agrippina è così – sotto il profilo strettamente musicale – un florilegio del migliore Händel ‘italiano’, di quel giovane dandy alla scoperta della Penisola; l’opera chiude (e documenta) una prodigiosa fase di assimilazione, e al tempo stesso si proietta oltre la scena veneziana, verso il pubblico internazionale delle corti.
Tra la folla esultante del carnevale vi erano – frequentatori abituali – nobili, dignitari, principi tedeschi e inglesi; a loro si rivolgerà Händel, per costruire altrove la sua carriera teatrale.