Opera Lirica
 
 
 
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Dizionario dell'Opera - ED. Baldini & Castoldi
   LE NOZZE DI FIGARO
  di Mozart Wolfgang Amadeus su libretto di Lorenzo Da Ponte
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Personaggi

il conte d’Almaviva, grande di Spagna (B); la contessa d’Almaviva, sua moglie (S); Susanna, cameriera della contessa (S); Figaro, cameriere del conte (B); Cherubino, paggio del conte (S); Marcellina, governante (Ms); Bartolo, medico di Siviglia (B); Basilio, maestro di musica (T); Don Curzio, giudice (T); Antonio, giardiniere del conte e zio di Susanna (B); Barbarina, sua figlia (S); paesani, contadinelle

Unanimemente considerato uno degli esempi più perfetti di drammaturgia musicale, il primo frutto della collaborazione fra Mozart e Lorenzo Da Ponte vide la luce fra non poche difficoltà, legate ai problemi di censura che la commedia di Beaumarchais si portava dietro e alle tipiche cabale dell’ambiente teatrale viennese, dominato dalla figura del direttore dei Teatri imperiali, conte Rosemberg Orsini.
Tutta la genesi del lavoro (per il quale manca, purtroppo, un carteggio fra i due autori) è descritta con discreta attendibilità nelle Memorie di Lorenzo Da Ponte: l’idea sarebbe nata da una conversazione con Mozart («L’immensità del suo genio domandava un soggetto esteso, multiforme, sublime»), ma si scontrò col divieto imperiale di rappresentare la commedia di Beaumarchais, «scritta troppo liberamente per un costumato uditorio». Si può legittimamente dubitare che sia stato l’Abate – come egli stesso sostiene – a convincere Giuseppe II a dare il suo nulla osta alla rappresentazione della nuova opera: ultimamente, buona parte della storiografia musicale inclina invece a ritenere che l’imperatore abbia avuto un ruolo di primissimo piano nel progetto, e che abbia ottenuto dal Da Ponte l’omissione delle tirate più squisitamente politiche senza per questo intaccare la sostanza della trama, perfettamente adeguata alle sue idee di monarca illuminato e alla sua opera fustigatrice del malcostume aristocratico. Anche l’aneddoto concernente il problema della presenza di un ballo nell’opera (Giuseppe II aveva proibito le danze negli spettacoli di corte), opportunamente stigmatizzato dai rivali di Da Ponte, conferma l’interesse privilegiato che il monarca ebbe per tutta l’operazione, se è vero, come racconta il librettista, che egli stesso si sarebbe recato alle prove e, vedendo l’azione deturpata dalla mancanza del ballo di matrimonio, l’avrebbe fatta reinserire sul momento. In effetti è perlomeno singolare che un testo come quello di Beaumarchais, disseminato di veleni satirici e politici contro la classe aristocratica, potesse proprio in quegli anni giungere alle scene senza un fortissimo sostegno dall’alto.
Evidentemente, i progetti dell’imperatore, che aspirava a farsi garante d’una nuova alleanza con la vera forza sociale dello stato, la borghesia, saltando a pie’ pari l’antica struttura feudale, passavano anche attraverso una politica culturale – e segnatamente teatrale – di natura deliberatamente provocatoria, alla quale due spiriti libertini come Da Ponte e Mozart sembravano servire alla perfezione. Comunque, per la sua bruciante attualità e per la perfezione del suo febbrile ritmo teatrale, Le nozze di Figaro finì per essere il più grande successo dell’intera carriera artistica di Mozart, e trovò immediata e duratura rispondenza nei teatri di tutta Europa. Da allora, l’opera non ha mai cessato d’essere ammirata e prodotta, neppure nel XIX secolo, che si dimostrò per altri versi sordo e crudele nei confronti di larga parte del teatro mozartiano (si pensi alla totale cancellazione dal repertorio ottocentesco d’un capolavoro come Così fan tutte , senza dire delle due grandi opere serie, Idomeneo e La clemenza di Tito ).
La rinascita della fortuna di Mozart appartiene però prevalentemente al nostro secolo, cominciando con l’appassionata dedizione che al Salisburghese consacrarono personaggi come Gustav Mahler (nel periodo della sua direzione dell’Opera di Stato di Vienna) e Richard Strauss. Quest’ultimo, fondatore insieme a Hugo von Hofmannsthal dei Salzburger Festspiele, dette all’autore delle Nozze un tempio imperituro nella sua città natale e un esempio al mondo intero nella sistematica riscoperta di tutto il catalogo di Mozart. A Salisburgo sono legate produzioni leggendarie dell’opera, nei nomi di Franz Schalk (che fu il direttore del primo allestimento prodotto al Festival nel 1922), di Clemens Krauss, Felix Weingartner, Bruno Walter, Karl Böhm, Josef Krips, Herbert von Karajan, Wilhelm Furtwängler.
Nella direzione aperta dai Salzburger Festspiele, si moltiplicarono in altre nazioni iniziative affini, come a Glyndebourne in Gran Bretagna, dove ebbe un fondamentale ruolo d’apostolo mozartiano il direttore Fritz Busch, o a Aix-en-Provence, che ebbe in Hans Rosbaud il suo animatore nel secondo dopoguerra. Le nozze di Figaro hanno naturalmente attirato anche l’attenzione dei maggiori registi d’opera, fin dai mitici allestimenti di Walter Felsenstein e di Lothar Wallerstein (con le scene di Alfred Roller); in tempi più vicini a noi, hanno raggiunto grandi risultati artistici Luchino Visconti (a Roma, con Carlo Maria Giulini), Jean-Pierre Ponnelle (a Salisburgo con Herbert von Karajan), Giorgio Strehler (prima a Versailles con Georg Solti e quindi alla Scala con Riccardo Muti), Antoine Vitez (Teatro Comunale di Firenze, ancora con Muti), Gian Carlo Menotti a Spoleto, Jonathan Miller (Vienna, con Claudio Abbado, Firenze con Zubin Mehta).

Atto primo
In una camera ancor non ammobiliata, Figaro sta prendendo le misure per il letto, mentre la sua promessa sposa Susanna si prova allo specchio un cappello per la festa di nozze, prevista in quel giorno medesimo (“Cinque, dieci, venti”).
Quando Susanna viene a sapere che quella è per l’appunto la camera che il conte d’Almaviva ha loro destinato, ha un moto improvviso di disappunto. Meravigliatissimo, Figaro le spiega invece i vantaggi d’essere a due passi dalle camere dell’aristocratica coppia (“Se a caso Madama”). Susanna spiega allora al fidanzato quale sia il rischio cui stanno andando incontro: il conte, stanco ormai delle grazie della consorte, ha preso a far la corte proprio a Susanna e tenta – con l’aiuto di Basilio che gli fa da mezzano – di recuperare in segreto quello ius primae noctis al quale magnanimamente ha rinunciato con illuminato senso di giustizia. La scelta di quella camera sembra allora opportunissima ai progetti del conte, che cercherà in ogni modo di differire le nozze, onde goder per primo delle grazie virginali della sposina.
Suona il campanello e Susanna deve correre al servizio. Rimasto solo, Figaro medita sul da farsi e promette di dar battaglia al conte con tutta la sua arguzia (cavatina “Se vuol ballare, signor contino”). Uscito Figaro, entra in scena la vecchia Marcellina, governante a palazzo: è in compagnia del dottor Bartolo al quale espone le sue rivendicazioni di nozze nei confronti di Figaro. Costui le ha infatti firmato, in cambio di denaro, una cambiale di matrimonio, ed ella pretende ora di effettuare il contratto rivolgendosi al conte per aver giustizia. Bartolo la rassicura e si offre di farle da avvocato: avrà infatti il massimo gusto nel vendicarsi di Figaro (“La vendetta, oh, la vendetta”). Rimasta sola, Marcellina s’imbatte proprio in Susanna e la provoca a distanza. Fra le due nasce un comicissimo scambio d’insinuazioni, ma Marcellina, stizzita, è costretta infine ad abbandonare la stanza (“Via resti servita, Madama brillante”).
Entra quindi in scena, agitatissimo, il paggio Cherubino, che si querela con Susanna perché il conte ha deliberato di cacciarlo dal castello, avendolo sorpreso in atteggiamento inequivocabile con Barbarina, cugina di Figaro. Preso in giro da Susanna per le sue follie d’adolescente sempre a caccia di fanciulle, Cherubino confessa il suo smarrimento di fronte al sentimento d’amore (“Non so più cosa son, cosa faccio”). Si sente rumore fuor dell’uscio e Cherubino, udendo la voce del conte, si nasconde dietro un seggiolone per non esser sorpreso en tête à tête con Susanna. Entra quindi il conte che, ignaro della presenza del paggio, rinnova a Susanna le sue profferte d’amore, chiedendole un appuntamento in giardino. Si ode ancora fuor della porta la voce di Basilio, ed è allora il conte a rimpiattarsi dietro il seggiolone, mentre Cherubino scivola dal lato opposto e vi si pone sopra, coperto da un lenzuolo.
Agitatissima, Susanna deve ascoltare le raccomandazioni di Basilio, che la invita a cedere al conte, rimproverandola di dar troppo spago al giovane paggio, che peraltro si sarebbe fatto troppo notare nelle sue attenzioni addirittura verso la contessa. Infuriato per la maligna insinuazione, il conte si alza dal suo nascondiglio e promette un’immediata punizione per Cherubino, invano difeso da Susanna.
Il conte racconta allora di come proprio il giorno prima abbia sorpreso il paggio sotto un tavolo in casa di Barbarina: nel mimare la scena dello scoprimento, solleva distrattamente il lenzuolo dal seggiolone, e si trova così davanti, ancora una volta, lo spaurito Cherubino. Il conte poi è costretto a trattenere la propria ira perché in quel mentre giunge Figaro con una brigata di paesani a pregarlo di porre il velo candido sul capo della sposina, simbolo della sua rinunzia all’ingrato diritto feudale. La provocazione viene incassata da Almaviva, che però ordina segretamente a Basilio di rintracciare Marcellina al fine di bloccare le nozze. Quindi, implorato da Figaro e Susanna di perdonare il paggio, il conte muta l’espulsione dal castello in una promozione militare, e lo nomina ufficiale. Figaro si congeda allora da Cherubino canzonandolo: è finita la sua vita di cicisbeo, comincia la dura carriera di soldato (“Non più andrai, farfallone amoroso”).

Atto secondo
Sola nella sua camera da letto, la contessa lamenta la sua condizione di sposa negletta (“Porgi amor”). Entra Susanna e le racconta dei tentativi di seduzione del conte nei suoi confronti.
Giunto nella stanza, Figaro comincia a ordire la trama per smascherare il padrone: decide insieme alle due donne d’inviare al conte un biglietto anonimo che lo faccia ingelosire riguardo alla contessa, e nel contempo d’inviare nottetempo Cherubino travestito da donna in giardino all’appuntamento che Susanna avrà dato al conte, onde la contessa possa sorprendere il marito infedele davanti a tutti. Figaro invia quindi nella camera Cherubino – non ancora partito per Siviglia – in modo che provi gli abiti femminili. Coperto di rossore, il paggio viene poi obbligato dalla contessa a cantarle la canzonetta che ha scritto (“Voi che sapete”), e quindi Susanna comincia a vestirlo, notando fra l’altro la premura con cui era stato redatto il suo brevetto d’ufficiale, al quale manca il necessario sigillo. Mentre la cameriera è andata a prendere un nastro in una camera contigua, il conte bussa alla porta, gettando la contessa e Cherubino nella più grande agitazione.
Cherubino si rifugia allora nel guardaroba, chiudendovisi a chiave. La contessa apre al marito, visibilmente imbarazzata, e mentre cerca di giustificare la chiusura della porta s’ode dal guardaroba uno strepito d’oggetti caduti.
Il conte, già allarmato per il biglietto anonimo ricevuto, s’insospettisce vieppiù, e la moglie è costretta allora a mentire dicendogli che in guardaroba c’è Susanna che sta provandosi l’abito di nozze (terzetto “Susanna, or via sortite”). Costei è nel frattempo rientrata nella stanza e osserva la scena nascosta dietro il letto. Il conte decide di sfondare la porta e invita allora la consorte a uscir con lui per prendere gli attrezzi necessari.
Rimasta sola e chiusa in stanza, Susanna bussa al guardaroba, donde esce Cherubino spaventatissimo. Non c’è per lui altra via di scampo che gettarsi dalla finestra in giardino, mentre Susanna prenderà il suo posto nel guardaroba. Rientra il conte, e la moglie decide di svelargli l’arcano: nel guardaroba non c’è Susanna, ma il paggio seminudo, là convocato per una burla innocente. L’ira del conte perde allora ogni controllo, tanto che questi s’avventa alla porta del guardaroba per uccidere il paggio (“Esci ormai, garzon malnato”).
Invece, con sbigottimento d’entrambi, dallo stanzino ecco uscire Susanna. Il conte chiede perdono alla sposa per i sospetti manifestati e le parole grosse che son corse, e tenera di cuore – oltre che non poco sollevata – la contessa lo perdona. Giunge però Figaro, che chiama tutti alla festa.
Il conte gli sottopone allora il biglietto anonimo, che le due donne gli hanno rivelato esser stato scritto dal cameriere. Figaro prima nega, poi deve arrendersi all’evidenza e confessa. Le sorprese non sono però finite: sul più bello entra il giardiniere Antonio con un vaso di garofani in pezzi, denunciando la mala creanza di qualcuno che si è buttato dalla finestra sui suoi fiori. Tutta l’architettura d’imbrogli e menzogne sta per crollare: Figaro si autoaccusa allora d’esser saltato egli stesso per paura del conte, e Antonio fa allora per dargli un foglio caduto al saltatore, ma il conte lo intercetta e chiede a Figaro cosa sia quel pezzo di carta che ha perduto.
Figaro, disperato, cerca d’inventarsi qualcosa: gli vengono in soccorso le due donne, che riconoscono in quel foglio il brevetto d’ufficiale di Cherubino. Il conte chiede allora perché proprio Figaro ne sia stato in possesso, e di nuovo Susanna e la contessa lo traggono d’imbarazzo suggerendogli che il paggio glielo avrebbe dato perché mancante dell’indispensabile sigillo. Scornato per l’ennesima volta, il conte si vede infine assistito dalla sorte: entrano infatti Marcellina, Bartolo e Basilio a reclamar giustizia per la vecchia governante, che pretende, cambiale alla mano, di sposare Figaro. Il conte gongola soddisfatto e promette una sentenza che lo compensi degli imbrogli subiti.

Atto terzo
Nella sala preparata per la festa nuziale di Figaro e Susanna, il conte medita sugli avvenimenti cui ha assistito, senza riuscire a trovarne il bandolo.
Entra Susanna che, d’accordo con la contessa, ma ad insaputa di Figaro, dà un appuntamento al conte per quella sera, riaccendendo le sue voglie (“Crudel! Perché finora farmi languir così?”). In realtà, la contessa ha deliberato di recarsi ella stessa all’appuntamento, con gli abiti di Susanna. Uscendo dalla stanza, Susanna incontra Figaro e l’avverte che ha già vinto la causa con Marcellina.
Il conte coglie però quest’ultima frase, e giura di vendicarsi (“Vedrò mentr’io sospiro”). Segue quindi la scena del giudizio, nella quale il magistrato Don Curzio intima a Figaro di pagare Marcellina o di sposarla. Figaro tenta allora in extremis di bloccare la sentenza adducendo l’assenza dei suoi genitori per il consenso. Racconta d’esser stato raccolto infante abbandonato, ma d’essere di nascita illustre come testimoniano i panni ricamati trovati nella culla e soprattutto il tatuaggio impresso al braccio destro.
Marcellina a quel punto trasalisce e riconosce in Figaro il suo Raffaello, figlio avuto in segreto da Don Bartolo e quindi esposto. Nello sbigottimento generale, Don Curzio sentenzia che il matrimonio non può aver luogo, mentre il conte abbandona la scena scornato per l’ennesima volta (sestetto “Riconosci in questo amplesso”). Sopraggiunge Susanna, pronta a pagare Marcellina con la dote ricevuta dalla contessa, ma con sua gran meraviglia vede Figaro abbracciato teneramente alla vecchia. La promessa sposa ha un moto d’ira e schiaffeggia Figaro, ma Marcellina l’informa dei nuovi sviluppi e dell’insperato riconoscimento. Anch’ella e Bartolo decidono di regolarizzare l’unione, e di rendere così doppia la festa di nozze. Frattanto, Cherubino non è ancor partito per il suo reggimento e viene condotto da Barbarina a travestirsi da donna per confondersi con l’altre contadine. La contessa, sola in attesa di notizie da Susanna, rievoca le dolcezze perdute del suo matrimonio e spera di riconquistare il cuore del marito (“Dove sono i bei momenti”).
Raggiunta poi da Susanna, le detta un biglietto da consegnare al conte durante la festa, nel quale si conferma il luogo dell’appuntamento per quella sera (duettino “Che soave zeffiretto”); inoltre, fa scrivere a Susanna sul rovescio del foglio di restituire la spilla che serverà di sigillo, in segno d’accettazione. Arrivano le ragazze del contado, e fra queste c’è anche Cherubino travestito.
In breve, però, costui vien smascherato da Antonio che lo denuncia al conte. Figaro arriva per chiamar tutti alla cerimonia e si scontra col conte, che può finalmente accusarlo per tutte le menzogne inventate in camera della contessa. La tensione è al massimo, ma è tempo di celebrare le nozze: entra il corteo dei doppi sposi, al quale segue la danza del fandango. Durante questa, Susanna lascia scivolare in mano al conte il bigliettino. Costui si punge con la spilla e poi si mette a cercarla goffamente per terra. Figaro lo scorge, e crede che sia un biglietto amoroso di qualche contadina. Ritrovato il sigillo, il conte congeda tutti i presenti e li invita alla gran cena di quella sera.

Atto quarto
Di notte, nel giardino del castello, Barbarina cerca la spilla che il conte le ha dato da recare a Susanna (“L’ho perduta”). S’incontra con Figaro, che dalle sue labbra viene così a sapere che la mittente del biglietto altri non era che la sua sposa. Annientato dalla gelosia, chiede conforto alla madre Marcellina, che cerca di placarne i bollenti spiriti (“Il capro e la capretta”); Figaro tuttavia s’allontana per organizzare lo scoprimento dei due fedifraghi. Basilio e Bartolo, convocati da Figaro, riflettono sui pericoli di scontrarsi coi potenti.
Rimasto solo, Figaro si lascia andare a considerazioni amare sul suo stato di marito tradito nel giorno stesso delle nozze e accusa le donne d’essere la rovina dell’umanità (“Aprite un po’ quegli occhi”). Giunge in giardino Susanna con la contessa, e comincia la recita degli inganni. Fingendo di restar sola «a prendere il fresco», Susanna eccita la gelosia di Figaro (“Deh vieni non tardar”). In realtà, è la contessa che si appresta a ricevere le avances del conte, ma mentre lo sta aspettando sopraggiunge Cherubino, che scorgendo colei che egli crede esser Susanna decide di importunarla a sua volta con piccanti proposte (“Pian pianin le andrò più presso”). Figaro osserva tutto nascosto dietro una siepe e commenta velenosamente, senza accorgersi che anche Susanna è lì a due passi in sentinella.
Arriva il conte, che s’adira nel vedere il suo oggetto del desiderio in compagnia d’un altro uomo. Tira allora un ceffone a Cherubino, ma questi si scosta ed è Figaro a buscarsi la sberla. Rimasto finalmente solo con la finta Susanna, il conte le regala un brillante e l’invita ad appartarsi con lui in un luogo buio.
Figaro non si regge più e passa facendo baccano: la contessa allora si ritira in un padiglione a destra, mentre il conte perlustra il giardino per non trovarsi tra i piedi ulteriori scocciatori.
Amareggiatissimo, Figaro s’imbatte allora in Susanna, che è vestita col mantello della contessa e simula la sua voce. La sposa lo mette alla prova e offre a Figaro l’occasione di vendicarsi seduta stante dei due consorti infedeli. Figaro dopo poche battute l’ha riconosciuta, ma continua a stare al gioco, finché la situazione si chiarisce e i due si riconciliano felici. Si tratta allora di concludere la commedia ai danni del conte: vedendolo arrivare, Figaro e Susanna continuano perciò la loro scena di seduzione.
Il conte, furibondo, vedendo quella ch’egli crede sua moglie corteggiata da Figaro in giardino, chiama tutti a smascherare i due reprobi; frattanto, Susanna si nasconde nel padiglione a sinistra. Davanti ad Antonio, Basilio e Bartolo, il conte accusa Figaro e comincia a trar fuori dal padiglione una vera processione di personaggi: Cherubino, Barbarina, Marcellina e infine Susanna, che tutti credono la contessa e che si copre il volto per la vergogna.
L’ira del conte è implacabile e oppone un diniego dopo l’altro ad ogni supplica di perdono da parte di Figaro e della falsa contessa.
A questo punto, dall’altro padiglione esce la vera contessa e tutti si rendono conto dell’imbroglio. Ella si scambia il mantello con Susanna e si rivolge al marito dicendogli: «Almeno io per loro perdono otterrò». Il conte s’inginocchia umiliato e consapevole d’aver fatto la corte a sua moglie. Le chiede perdono e l’ottiene, mentre tutti commentano soddisfatti la fine di quel giorno «di capricci e di follia», e invitano a recarsi ai festeggiamenti per quel matrimonio tanto sospirato.

Al di là degli innegabili accenti prerivoluzionari che la folle journée di Beaumarchais si portava dietro, l’‘estratto’ realizzato da Mozart e Da Ponte ha caratteristiche che superano di gran lunga l’attualità del tema sociale e lo pongono in una dimensione superiore, quella della commedia umana. Le nozze di Figaro è infatti prima di tutto un dramma dei sentimenti, ove tutto si confonde – amore, sesso, gelosia, ira, riscatto di classe, orgoglio aristocratico, malinconia, gioco e, last but not least , leggerezza – ma al fine di mostrare, nel carosello dei personaggi, un panorama di emozioni, mai sottoposto a giudizio morale. Nessuno, neppure lo stesso Almaviva, viene infatti seriamente giudicato, benché messo alla berlina: tutti i protagonisti della vicenda (che in effetti non ha poi figure davvero egemoni) sono mossi da un medesimo motore, che è il bisogno d’amore, sia esso considerato semplicemente come desiderio sessuale – per esempio nel conte o nel meraviglioso ritratto di Cherubino, adolescente alla scoperta dei piaceri – oppure come nostalgia d’una felicità perduta (la contessa), o ancora come puro affetto familiare e borghese (la coppia di Figaro e Susanna), benché già minato sul nascere dai sospetti e dalle civetterie. Come ha splendidamente intuito Massimo Mila nella sua esemplare Lettura delle Nozze di Figaro , l’eros dell’opera è in realtà una formidabile metafora della ricerca della felicità, il grande mito dell’Illuminismo che qui s’incrina sullo scetticismo mozartiano, in un primo capitolo di quello che è forse considerabile come il più grande trattato sull’amore mai scritto: il seguito, nella dimensione epica d’un vero eroe tragicamente proiettato sull’impossibilità d’amare, sarà il Don Giovanni, e la conclusione, amara fino al prezzo del cinismo, si chiamerà non a caso Così fan tutte , prendendo il titolo da una battuta crudele di Don Basilio nel primo atto delle Nozze .

La riprova di questa rappresentazione disincantata di una umanità febbrilmente persa nel suo sogno d’appagamento giunge proprio alle ultime battute dell’opera, laddove ormai è avvenuto lo scoprimento di ogni imbroglio: quando Il conte s’inginocchia alla consorte e le chiede perdono col candore di una palingenesi sentimentale; quando quel perdono giunge con evangelica catarsi, esso intride la musica di una malinconia fino a quel momento mai così intensa e vera; quando tutti in coro dovrebbero intonare gioiosamente “Or tutti contenti saremo così”, là Mozart ha consegnato alla musica, in aperta contraddizione col significato delle parole, il senso della vanità d’ogni umana speranza, il miraggio solo momentaneamente consolatorio, ma perfettamente inattingibile, della felicità su questa terra.

L’esperimento di Mozart e Da Ponte è riuscito, per la prima e forse ultima volta nella storia della musica, a superare i confini dei generi, sia nel teatro che nello stile musicale. Seguendo la traccia appena abbozzata da Paisiello nel suo Barbiere di Siviglia (egualmente tratto da Beaumarchais), musicista e librettista hanno liberato l’opera buffa dai suoi stereotipi ancora indebitati con la commedia dell’arte.
Nelle Nozze , i personaggi hanno un rilievo psicologico affatto nuovo, uno sbalzo drammatico mai incontrato in precedenza, e per questo si trasformano in figure indelebili dalla memoria dello spettatore. Oltre che alla perfezione assoluta della drammaturgia e del testo, la folgorante capacità di ritrarre i diversi tipi umani risiede soprattutto nella musica, che allarga il territorio dell’opera buffa con frequenti e sapienti prestiti dallo stile serio.
Ad esempio nelle due grandi arie della contessa, intrise di una malinconia che non ha proprio nulla a che vedere con la tradizione comica; o anche l’unica aria del conte, il cui piglio fiero e virtuosistico ne fa una perfetta contaminazione di un genere nell’altro. La grande novità nella costruzione drammatica sono tuttavia i pezzi d’insieme, vero punto di forza del ritmo travolgente di questa che, giustamente, Da Ponte volle definire «commedia per musica» e non ‘opera buffa’. Come già era in parte avvenuto nell’ Idomeneo e nella Entführung aus dem Serail , nei pezzi d’insieme (duetti, terzetti, sestetti, e particolarmente i due smisurati finali del secondo e quarto atto), le psicologie trovano il luogo deputato al conflitto e al confronto, e si fanno assai più sottili e intelligibili di quanto non avvenga nei pur mirabili recitativi secchi. Il luogo eccelso della maestria di Mozart nel costruire in musica il coup de théâtre , è pertanto il finale del secondo atto, dove in un crescendo di tensione drammatica irresistibile gli attori in scena passano da due a sette, in venticinque minuti di musica ininterrotta e fluviale.

Un cenno merita anche il trattamento dell’orchestra, che non è certo il meno rivoluzionario degli elementi che concorrono alla sublime fisionomia dell’opera.
Tra il Ratto dal serraglio e le Nozze di Figaro passano quattro anni, un periodo nel quale Mozart affinò in misura inaudita le sue doti di orchestratore, grazie in particolare ai concerti per pianoforte e orchestra, che in molti casi appaiono come cartoni preparatori di immaginarie scene di teatro, nei diversi registri stilistici del patetico, del buffo, del lirico, e via dicendo. La nuova ricchezza degli strumenti a fiato, con le loro morbidezze e un’impagabile sottigliezza espressiva, entra a far parte a pieno titolo della scrittura delle Nozze di Figaro , tanto che si potrebbe a buon diritto sostenere che il fitto dialogo fra voci e strumenti sia il più autentico e acutissimo scandaglio delle emozioni e dei sentimenti che percorrono la commedia.
 
   
       
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