Opera Lirica
 
 
 
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Dizionario dell'Opera - ED. Baldini & Castoldi
   ANNA BOLENA
  di Donizetti Gaetano su libretto di Felice Romani
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Personaggi

Enrico VIII, re d’Inghilterra (B); Anna Bolena, sua moglie (S); Lord Rochefort, fratello di Anna (B); Giovanna di Seymour, damigella di Anna(S); Lord Riccardo Percy (T); Smeton, paggio e musico della regina (A); Sir Hervey, ufficiale del re (T); cortigiani, ufficiali, Lords, cacciatori, soldati

Nell’estate del 1830 Donizetti firmò un contratto con il teatro Carcano di Milano per un’opera da rappresentarsi il 26 dicembre successivo, in apertura della stagione di carnevale.
Il musicista aveva inizialmente esitato ma le condizioni contrattuali piuttosto generose (il libretto di Felice Romani, la scrittura di Giuditta Pasta e di Giovanni Battista Rubini per le parti dei protagonisti, un compenso di 650 scudi e naturalmente la data della rappresentazione) e il desiderio di riscattarsi dell’insuccesso di Chiara e Serafina , che otto anni prima aveva fatto fiasco alla Scala, avevano avuto la meglio su ogni timore. Il 10 novembre il compositore ricevette il libretto terminato e si trasferì sul lago di Como, a Blevio, ospite di Giuditta Pasta che certamente ebbe modo di fornirgli preziosi consigli (forse anche quello di riutilizzare una cabaletta dell’ Enrico di Borgogna per l’aria finale di Anna “Al dolce guidami castel natio”). La prima rappresentazione fu un successo ed ebbe ragione persino delle riserve dei critici più intransigenti e ostili al musicista. Ciononostante, alcune riserve nei confronti del primo atto spinsero il musicista a ritirare provvisoriamente la partitura per sottoporla a un lavoro di revisione non limitato alla semplice sostituzione di qualche aria ma teso soprattutto, grazie ad alcuni tagli e alla ridefinizione di taluni spunti melodici, a conferire alla vicenda una maggiore continuità drammatica. La ripresa del lavoro, nel febbraio del 1831, non sciolse tutte le riserve (dovute più che altro al parteggiare di alcuni critici per Bellini) ma accreditò definitivamente Donizetti sulla piazza milanese e lo segnalò come uno dei maggiori talenti musicali del tempo accanto a Mercadante, Pacini e Bellini. In seguito al successo dell’opera, nonostante la spietata concorrenza, Donizetti si impose non solo nelle principali città dell’Italia settentrionale ma anche all’estero; in luglio Anna Bolena fu rappresentata a Londra, in settembre a Parigi e in entrambe le citta l’esito fu positivo, tanto che venne eseguita più volte negli anni successivi.
Dopo il 1877 l’opera non fu più rappresentata alla Scala fino alla ripresa del 1957, diretta da Gavazzeni con la regia di Visconti e le scene e i costumi di Benois, protagonista Maria Callas che confermò di possedere, accanto alle grandi doti vocali, anche straordinarie capacità interpretative.
Da allora, l’opera è entrata stabilmente in repertorio.

Atto primo
Castello di Windsor, 1536. Enrico VIII è ormai stanco di Anna Bolena, la sua seconda moglie, e vorrebbe liberarsene con un pretesto per poter sposare Giovanna di Seymour.
Anna, ancora ignara del suo destino, avverte attorno a sé silenzio e imbarazzo e cerca conforto proprio in Giovanna, che a sua volta, intuendo i disegni del re, è assalita dal rimorso e teme per la regina. Una canzone intonata da Smeton, paggio e musico della regina e di lei innamorato, commuove Anna che ripensa con nostalgia a Lord Riccardo Percy, il suo primo amore (“Come, innocente giovane”).
Intanto Giovanna si incontra con re Enrico, dal quale apprende che egli desidera farla sua sposa e regina. Ai dinieghi e al crescente turbamento di Giovanna, il re replica rivelando di essere a conoscenza di un amore giovanile di Anna. Giovanna si augura che ciò non sia preludio a qualche tragico evento. Nel parco del castello, Rochefort, fratello di Anna, si è nel frattempo imbattuto proprio in Percy, graziato dal re e appena ritornato dall’esilio.
Il giovane, che non ha mai dimenticato Anna, è tornato solo per rivederla. Sopraggiunge il re con Anna. Percy apprende così di essere stato graziato per intercessione della stessa regina. La reazione dei due antichi amanti, che nel rivedersi restano turbati, suscita il crudele divertimento del re, che finge grande benevolenza sperando in un pretesto per sbarazzarsi di Anna. Intanto, nell’appartamento di Anna, Smeton contempla con amore un ritratto della regina, che ha segretamente sottratto e che ora sta per riporre (“Ah, parea che per incanto”): al sopraggiungere di questa e di Rochefort si nasconde. Dopo un colloquio con il fratello, Anna rimane sola e si pente di avere ceduto al desiderio di rivedere il suo antico amore. Sopraggiunge Percy che, intuendo l’infelicità di Anna e l’odio di Enrico per lei, le chiede apertamente di cedere ai sentimenti di un tempo. Quando Anna rifiuta e lo supplica di partire, Percy, disperato, sguaina la spada per uccidersi.
Smeton, che ha assistito al segreto colloquio e che crede minacciata la regina, interviene. Sopraggiunge il re, che davanti ai cortigiani e alle dame accusa Anna di adulterio; nell’ansia di scagionare la regina, Smeton ne lascia cadere il ritratto. Di fronte a una prova che a tutti appare inconfutabile, Enrico ordina l’arresto di Anna, Percy, Rochefort e Smeton.

Atto secondo
Mentre in carcere Anna affronta il dolore dell’ingiustizia subita, Seymour è in preda all’angoscia e al rimorso. Si incontra in segreto con la regina per consolarla e tentare di salvarla: se ammetterà il tradimento sarà graziata. Di fronte allo sdegnato rifiuto della regina, Giovanna rivela incautamente che il re ama un’altra donna. Anna si adira e Giovanna si smarrisce sempre più fino a svelare tra le lacrime di essere la nuova favorita del re. Commossa da tanto strazio, la regina perdona e consola la rivale (“Va’, infelice e teco reca”).
Intanto, convinto di salvare così la vita di Anna, il giovane Smeton si accusa di esserne stato l’amante offrendo finalmente a Enrico il pretesto per una condanna. In un drammatico confronto, Percy rivela al re che Anna è stata sua sposa e reclama i suoi diritti, ricusando qualsiasi pretesa accusa di tradimento da parte del re. Enrico comprende che Percy tenta di far cadere così l’accusa di adulterio nei confronti di Anna e affida il loro giudizio al Consiglio dei Pari. Mentre si attende il verdetto, Giovanna incontra il re e lo scongiura di graziare Anna poiché il rimorso la spingerebbe a lasciarlo, nonostante lo ami (“Per questa fiamma indomita”); Enrico, tuttavia, appreso che il Consiglio dei Pari ha ratificato la condanna di Anna, non si pronuncia e congeda Giovanna. Intanto nelle prigioni della Torre di Londra, Hervey, ufficiale del re, comunica a Percy e a Rochefort che Enrico intende graziarli ma che persegue nel proposito di riservare la pena capitale alla regina. Indignati, i due nobili scelgono entrambi di seguire Anna al supplizio (“Vivi, tu, te ne scongiuro”). Mentre si odono i cannoni che festeggiano le nozze tra Enrico e Giovanna di Seymour, Anna alterna momenti di lucidità e di delirio (“Al dolce guidami castel natio”); rivive il matrimonio con il re, l’amore giovanile per Percy e si strugge per la morte degli innocenti.
Poi, invocando sulla coppia regale il perdono divino, muore (“Coppia iniqua, l’estrema vendetta”).

L’opinione ancora oggi diffusa che Anna Bolena sia una sorta di evento eccezionale e del tutto inatteso all’interno dell’itinerario compositivo donizettiano deve essere corretta.
Certamente, alcuni elementi favorevoli concorsero a fare di quest’opera una tappa fondamentale nell’evoluzione dello stile di Donizetti, consentendogli di guadagnare un ampio margine di autonomia rispetto alla tradizione rossiniana e di pervenire così a modi e soluzioni drammaturgiche sempre più personali.
Il libretto approntato da Romani, ben superiore ai precedenti di Chiara e Serafina e di Alina, regina di Golconda sotto il profilo stilistico e per lo spessore drammatico e narrativo, era tratto in parte dalla tragedia di Ippolito Pindemonte Enrico VIII, ossia Anna Bolena (scritta nel 1816 ma a sua volta largamente attinta all’ Henri VIII di Marie-Joseph Chénier del 1791), in parte dall’ Anna Bolena di Alessandro Pepoli (1788) e consentì a Donizetti di pervenire a un linguaggio drammatico maturo, capace, come nella scena finale, di imporsi con la sua valenza espressiva al di là del normale avvicendarsi delle formule melodrammatiche della tradizione. Tutte le sostituzioni, i tagli e i rifacimenti apportati da Donizetti alla partitura riducono al minimo le naturali e inevitabili cesure tra il tessuto narrativo dei recitativi e quello lirico-contemplativo dei pezzi chiusi. Donizetti cercò anche di assicurare alla partitura una maggiore coerenza e coesione drammaturgica utilizzando alcuni motivi ricorrenti. Per tutte queste ragioni, Anna Bolena rappresentò un risultato sino ad allora inedito. Il legame con il passato non deve però essere taciuto, per la non trascurabile mole di brani che il musicista, secondo una tendenza in lui non certo nuova, trasse da opere precedenti: Imelda de’ Lambertazzi (duetto Anna-Percy, I,12), Otto mesi in due ore (quintetto “Io sentii sulla mia mano”, I,8) e Il paria (introduzione al duetto Anna-Percy).

Per questo, l’opera guarda sia alla tradizione sia al futuro: porta a un grado di maturazione inedito quanto conseguito sino ad allora e al tempo rinuncia in modo definitivo al finale lieto per abbracciare il nuovo genere della tradizione romantica e, grazie al particolare ‘taglio’ voluto da Romani, spinge la musica a tratteggiare nei particolari più minuti la sottile e complessa psicologia della protagonista, secondo una linea che sarà approfondita in Lucia di Lammermoor .
Speciale attenzione venne rivolta da Donizetti alla scrittura vocale: mai come in Anna Bolena la necessità di accordare le esigenze degli interpreti alla ricerca di un canto espressivo perviene a esiti di tale perfezione. Oltre alle arie e ai duetti (si noti, per inciso, la mancanza di un’aria per il personaggio di Enrico) assumono particolare rilevanza i concertati, che nel primo atto sono addirittura due e rappresentano un terreno sul quale Donizetti si muoveva da sempre con disinvoltura, mediando tra la regolarità imposta dalla costruzione formale e l’esigenza di un canto espressivo, specie nelle parti dominate dal calore e dall’umanità della protagonista.
 
   
       
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